Autonomia per una dieta valtellinese e valchiavennasca
Autonomia per una dieta valtellinese e valchiavennasca

di Michele Corti

 

La proposta di mantenere un consiglio provinciale autoconvocato è meno irrealistica e velleitaria di quanto possa apparire. Intanto risponde all’esigenza di non subire la cancellazione della rappresentanza politica di un territorio. Apre poi la possibilità di creare nuove istituzioni dal basso in grado di rispondere anche all’esigenza di far sopravvivere l’identità e la voce delle piccole comunità che rischiano di essere cancellate dall’accorpamento dei comuni

 

La Lega Nord lancia la proposta di "Provincia inter-regionale dei laghi" (più per esigenze propagandistiche che per convinzione) ma questo rischia di rendere più probabili le soluzioni a tavolino che non tengono conto delle identità territoriali. Che fare? Il Consiglio provinciale di Sondrio non si sciolga, si trasformi in una istituzione dal basso di democrazia diretta prevedendo la costituzione di un Dieta valtellinese e valchiavennasca collegata a una o più Fondazioni. Una sfida allo stato romano che forse potrebbe indurre a più miti consigli. Intanto per dimostrare che non è con la cancellazione di un ente che si cancella l’identità locale i Valtellinesi e i Valchiavennaschi, i 20 mila che hanno firmato per il mantenimento della provincia ma anche quelli a favore della Provincia alpina lombarda, diano un segnale all’esterno esponendo la bandiera storica della Valtellina e Valchiavenna.

 

 

 

Se questa operazione va contro la rappresentanza politica dei territori  è sul piano della rappresentanza che bisogna agire

 

È chiaro come il sole che il governo dei tecnocrati non intende perseguire risparmi. Ha il mare magnum della spesa clientelare e parassitaria statale e parastatale da prosciugare. Ci sarebbero da abolire i Parchi prima di provincie e comuni. L’operazione è politica. Mira a restringere gli ambiti della rappresentanza politica, della democrazia (sia pure imperfetta e formale). La reazione forte delle comunità di Valtellina e Valchiavenna alla soluzione napoleonica di annessione sic et simpliciter della provincia di Sondrio a Como o Lecco consente di elaborare soluzioni "rivoluzionarie", di rimettere in discussione le dinamiche della rappresentanza democratica e del ruolo delle istituzioni rispetto alla società. E forse da un male può sortire qualcosa di buono. Intanto, qualsiasi sarà la soluzione si troverà all’interno della logica di riordino imposta da Roma sia la Provincia che la Regione non devono abdicare alle loro prerogative come vorrebbe un governo che, in quanto a sensibilità per le autonomie, è il peggiore della storia della repubblica italiana. Giusti tutti i passi legali per difendere queste prerogative anche se questo consentisse solo di guadagnare tempo a favore di soluzioni che minimizzino i danni dell’autoritarismo governativo napoleonico e degli automatismi burocratici.

 

Una provincia da 200 anni costituita tenendo conto dell’isolamento dal quale, però, il Lombardo Veneto la tolse. Oggi è più isolata rispetto al 1820

 

Va precisato che i riferimenti al giacobinismo e a Napoleone sono tutt’altro che folkloristici. Negli anni dei governi filo-francesi (sostenuti dai progressisti nostrani che non obiettavano neppure di fronte alle spoliazioni) Como, Varese, Lecco, la Valtellina, la Valchiavenna, la Valcamonica "ballarono" tra più Dipartimenti (Adda, Lario, Oglio). Per i francesi e la minoranza che li appoggiava i territori erano pedine da giocare al Risiko, da aggregare, scorporare, riaggregare ad uno schiocco di dita del governo di Milano. Oggi è lo stesso. Ancora in epoca napoleonica, però, la Valtellina e la Valchiavenna raggiunsero l’assetto attuale che venne ratificato dal Congresso di Vienna con l’entrata di questi territori alpini lombardi nel Regno Lombardo Veneto con la qualità di provincia. Gli austriaci si rendevano conto perfettamente che, pur essendo di moderata entità demografica, il vasto territorio delle valli dell’Adda e della Mera era scarsamente accessibile e non era possibile imporre la direzione amministrativa da Como. La strada del Lago di Como e dello Spluga (attuale SS36) e quella dello Stelvio (l’attuale famigerata SS38) non esistevano ancora. La Valtellina era collegata al resto del mondo attraverso strade alpine che erano poco più che mulattiere e il Lago di Como. Ci penso il mai abbastanza da rivalutare Imperial Regio Governo a rompere l’isolamento della Valtellina e della Valchiavenna con delle opere che vennero ammirate dai contemporanei come le più ardite mai realizzate sulle Alpi. Nel giro di pochissimi anni,  sotto la direzione di Carlo Donegani - Ingegnere di prima classe della provincia di Como e, dal 1821, di quella di Sondrio - vennero progettate le carreggiabili del Passo dello Spluga e dello Stelvio (le più alte d’Europa). Lavori che richiesero la realizzazione di numerose opere d’arte, gallerie, ponti. Il tutto in pochissimi anni (1818-1822 per lo Spluga, 1820-1825 per lo Stelvio). Oltre a ciò Donegani inalveò l’Adda a Tirano, il torrente Mallero in Val Malenco e realizzò la strada lungo la riva orientale del lago di Como da Lecco a Colico e quindi fino a Chiavenna.   Pensiamo invece che, sotto Roma, ci sono voluti trent’anni per realizzare la nuova SS36 e che oggi - in piena estate - la Valtellina subisce le conseguenze della chiusura per lavori di tratti di galleria dove si evidenziano manifesti cedimenti. Se la vecchia SS36 è legata al nome di Carlo Donegani tutt’ora ricordato con ammirazione, la nuova è legata ad un politico che ai tempi si fece promotore di diversi interventi in qualità di ministro dei lavori pubblici: tale Franco Nicolazzi (PSDI) condannato per concussione durante tangentopoli e quindi uscito dalla vita politica. Cemento depotenziato? Alla fine la Valtellina è più isolata oggi dal resto del mondo rispetto al 1820 quando venne collegata con modernissime arterie stradali a Lecco e a Milano. L’argomento dell’isolamento giustifica quindi il rigetto della fusione della provincia di Sondrio con altri territori. Ma l’argomento che più conta è che questa fusione imposta fa si che la Valtellina e la Valchiavenna diventino periferie di un impero in cui prevalgono-comunque vadano le cose- le componenti di pianura e pedemontane. Purtroppo nella logica dei ragionieri tecnocrati romani contano solo i numeri, non contano i poli di attrazione, i flussi reali, gli ambiti della vita sociale, economica e culturale. Tanto meno conta il senso di appartenenza a un territorio.

 

Le proposte in campo

 

per troppo tempo l’istituzione provincia e i circoli politici locali( ma anche molti cittadini che temevano giustamente di perdere quel poco di autonomia e di identità rappresentati della provincia) si sono arroccati nella difesa dello status quo. Non credevano che con una splendente previo qualsiasi si potessero cancellare 200  anni di storia. forse speravano che in extremis si sarebbe potuto trovare una soluzione ad hoc per le province interamente montane. Illusione perché questo governo è quanto di più lontano ci sia dall’attenzione alla montagna. Al governo c’è il PD ( il Pdl è sotto ricatto) e a salvarsi sono state spudoratamente Ferrara e Siena, capitali dell’impero economico legato al PD. Da oltre un anno "Valtellina nel futuro" propone la provincia alpina lombarda, una proposta che ha il merito di valorizzare il ruolo della Valtellina e di Sondrio come fulcro della montagna alpina anche nella prospettiva di una macroregione alpina transfrontaliera. purtroppo, però, e qui dobbiamo dare in parte ragione ai critici della provincia alpina lombarda non ci si è preoccupati sin dall’inizio di precisare i limiti territoriali di questa proposta. Lasciata indefinita resta comunque una bella idea. Se, ci si preoccupasse di indicare quali comuni delle attuali province di Como, Lecco, Bergamo, Brescia potrebbero entrare nella nuova provincia alpina raggiungendo il fatidico limite di 300.000 abitanti, allora la proposta avrebbe ancora la possibilità di restare in pista specie considerando che i tempi dell’operazione non si concluderanno comunque nei termini del blitz ha auspicato dal governo. Ovviamente è necessario il sostegno della regione Lombardia solo che quest’ultima riesca a comprendere come la provincia alpina la forza strategicamente specie in considerazione del già accennato progetto di macro regione. è bene comunque sottolineare che il progetto di provincia alpina è realizzabile anche sulla base della legge imposta da Roma.

 

Provincia inter-regionale?

 

Diverso il caso della provincia inter regionale dei laghi sortito dal cilindro di una lega nord desiderosa di recuperare credibilità. È un progetto che implica una modifica della legge vigente ma che comunque riscuote un certo successo in alcuni dei territori interessati. Ha il grande merito di riportare entro un’unica entità quei territori di cultura e lingua lombarda che furono separati dalla Lombardia in forza della conquista sabauda nel 18º secolo. Visto dalla Valtellina e dalla Valchiavenna il progetto, però, non può suscitare particolari entusiasmi. La Valtellina in particolare rischierebbe, ancora una volta, di divenire una provincia dell’impero nel quadro di un aggregato palesemente Varesecentrico in cui essa appare francamente disomogenea. La possibilità di raccordo e rilancio dei territori dell’Insubria sarebbe peraltro possibile attraverso la Regio insubrica che, però, attualmente vivacchia per il palese disinteresse dei ticinesi cui, giustamente, interessa un’aggregazione più ampia che valorizzi il ruolo di cerniera tra la Lombardia e il centro Europa germanofono del Canton Ticino. La provincia inter-regionale aggira il problema senza risolverlo dato che comunque il ruolo di un territorio così definito non può che giocarsi in una prospettiva transfrontaliera.

Inutile nascondere poi che la proposta un po’ fantasmagorica della Lega Nord mette i bastoni tra le ruote a quella più concreta della Provincia alpina lombarda. Verrebbe da dire che la Lega Nord, che pure rastrella tanti voti nelle aree alpine non manifesta poi un grande interesse per la montagna visto che snobba le soluzioni che vadano nel senso dell’unità dei territori alpini, di una ratifica istituzionale della loro necessaria autonomia.

 

E allora che fare?

Nella palese difficoltà di concordare un progetto dal basso che coinvolga non solo la Valtellina e la Valchiavenna ma anche i territori alpini delle altre province e rischio è che la scelta la facciano gli automatismi burocratici o comunque Como, Lecco, Milano. A parte la giusta volontà di Sartori di "cadere in piedi" espletando sino all’ultimo tutte le azioni possibili per contrastare il diktat del governo, forse bisogna anche pensare in positivo a come trasformare in una opportunità "rivoluzionaria" il triste frangente. In questo senso ci sentiamo di condividere la proposta di non sciogliere il consiglio provinciale avanzata da Alberto Frizziero:

Il Consiglio Provinciale decide, se non tutti d’accordo quantomeno a larga maggioranza, di restare in carica, organo volontario parallelo alle Istituzioni, quali che siano. Sin d’ora si costituisce, come una qualsiasi Associazione, con il suo Statuto e tutto il resto. Ha la sede naturale alla Pro Valtellina. Si avvale delle collaborazioni necessarie attingendo al volontariato. Decide come se fosse ancora in carica. Le decisioni le affida ai due consiglieri valtellinesi che faranno parte del nuovo Consiglio Provinciale a Lecco o Como o altrove. Dialoga, ne ha possibilità reale e riscontro formale, con la soluzione di cui al punto uno. Opera in stretto contatto, codificato statutariamente, con le altre Istituzioni, i comuni, le categorie, i sindacati ecc. usa della magistratura amministrativa. chiama alla collaborazione il mondo della scuola per una educazione specifica alla "valtellinesità", per storia, geografia, tradizioni, Istituisce "Il Giorno di Valle" in data 29 settembre, il giorno della Patrona della Valtellina. Alla proposta così formulata si dovrebbero aggiungere alcune precisazioni sul meccanismo elettivo del consiglio dal momento che quello attuale, trasformato in "consiglio autoconvocato" deve essere inteso quale organo provvisorio in attesa di chiamare i valtellinesi e i valchiavennaschi ad eleggere nuovi rappresentanti. Essi potrebbero essere eletti in parte sulla base di un collegio unico in modo da assicurare l’elezione di personalità di rilievo nel campo culturale, associazionistico, economico, in parte sulla base di circoscrizioni del tipo dei vecchi mandamenti al fine di assicurare un’equa rappresentanza delle componenti territoriali della ex-provincia. Al di là del carattere gratuito e volontario del lavoro degli eletti e dei necessari organismi di supporto la Dieta valtellinese e Valchiavennasca potrebbe costituirsi come fondazione e stabilire rapporti con fondazioni, consorzi, financo con gli stessi comuni il tutto nell’ambito delle norme esistenti. Un punto cruciale sarà quello del rapporto con i pochissimi consiglieri provinciali che siederanno a Como o a Lecco in rappresentanza delle comunità della Valtellina e Valchiavenna. Si dovrà escogitare un meccanismo per cui ad essere eletti siano membri della Dieta designati come rappresentanti nell’istituzione " ufficiale". Una cosa sia chiara: la Dieta o come si chiamerà non ha nulla a che fare con cose del tipo il "Parlamento padano" legate alle esigenze di propaganda di un partito e palesemente folkloristiche.

 

Una via inevitabile se non si vuole soccombere ad un nuovo statalismo

Questa idea, che sembra a prima vista difficile da attuare, in realtà corrisponde all’esigenza di mantenere la rappresentanza politica dei piccoli territori che si vorrebbe eliminare con un tratto di spugna. L’idea di organismi di rappresentanza pre-moderni, sganciati dalla corrispondenza con gli apparati burocratici - propri degli enti territoriali della modernità - è un’idea che può mantenere in vita le piccole comunità anche dove la possibilità di mantenere un comune quale realtà politica e amministrativa viene meno.

Basti pensare che un tempo l’unica incombenza amministrativa dei comuni e allegata all’anagrafe e alla riscossione di imposte. Oggi i comuni sono chiamati a erogare servizi complessi. Dobbiamo eliminare l’esistenza di comunità politiche, delle cellule di base della società solo perché alcune funzioni burocratiche, tecniche, amministrative possono essere gestite solo da aggregati di 5.000 o più abitanti? Ecco allora che deve affermarsi l’idea di uno sdoppiamento della rappresentanza politica e della gestione amministrativa. Le province sono andate incontro al loro ridimensionamento non solo per la loro assurda proliferazione ma anche per il loro costo (anche se alla fine è un pretesto considerato il costo della complessiva macchina statalica). In Svizzera nessuno si sogna di chiudere cantoni di poche decine di migliaia di abitanti - che hanno una storia secolare - sulla base delle considerazioni sul costo della macchina amministrativa. Ma il costo di questa macchina è infinitamente più basso rispetto agli standard italiani dove sappiamo che Napolitano ha più personale del presidente della Repubblica (presidenziale) francese. Le nuove istituzioni post moderne che sorgeranno dalla crisi dello Stato burocratico saranno espressione di una capacità di auto-organizzazione e di auto- rappresentanza. Dovranno imparare a venire incontro ai bisogni dei membri delle comunità al di fuori dello schema pubblicistico ripristinando i valori di reciprocità e di mutualismo, operando a ritroso cammino di de-burocratizzazione e di de-formalizzazione dei rapporti sociali ed economici. Affermando il principio che tra l’individuo e lo stato - nelle sue articolazioni - ci può essere qualcosa d’altro: una dimensione comunitaria.

Anche i piccoli comuni (destinati alla soppressione) devono intraprendere questa scelta coraggiosa

La Dieta autoconvocata di Valtellina e Valchiavenna potrebbe gradualmente divenire espressione di nuove istituzioni locali (eredi delle antiche comunità di villaggio e di valle che per secoli hanno saputo autogovernarsi). Così come essa rifiuta (speriamo) di sciogliersi e di azzerare ogni rappresentanza politica delle comunità di Valtellina e Valchiavenna così i piccoli comuni, le frazioni - a fronte dell’imposizione dell’accorpamento in gradi comuni - hanno la possibilità di fare qualcosa di analogo: trasformarsi in nuove istituzioni, che si emancipano dalla tutela statale e che esprimono, in forma sociale e di rilevanza pubblica, gli interessi centrati sulla località, interessi che rappresentano qualcosa di diverso di una somma di interessi "privati" come invece pretenderebbe la concezione individualistica e statalista (che è alla base anche dell’attacco in atto alle sia pur difettose autonomie locali).

 


Data: 15/08/2012