Il Coronavirus e il MORELLI
Il Coronavirus e il MORELLI

Tutto chiuso, tutto annullato… Tutta Italia zona rossa e la situazione è pressoché uguale ovunque. L’allarme sale e i malati si contano. L’Ospedale Morelli di Sondalo ha dato prova di tutta la sua necessità, quando la situazione di emergenza cesserà, si spera che continui a brillare in tutta la sua operatività… 


Data: 14/03/2020
 
14/03/2020, 11:15
Le cure a base di lana, letto e latte

Leggete questo bell’articolo di "Nonna Antonietta"…

A partire dalla seconda metà dell’Ottocento e fino all’avvento dell’antibioticoterapia nel secondo dopoguerra del secolo scorso, il ricovero in sanatorio ha rappresentato l’unica reale speranza di guarigione per i malati di tubercolosi.

Il riposo assoluto, la salubrità del clima e un’alimentazione adeguata, rinforzando l’organismo dei pazienti, consentivano un efficace contrasto allo sviluppo dell’infezione.

Dopo le esperienze europee del secondo Ottocento, i primi sanatori italiani sorsero in Valtellina al principio del XX secolo e si diffusero presto in tutto Paese grazie alle molte iniziative filantropiche e, soprattutto, grazie all’azione pubblica dell’INPS che costruì una vera e propria rete nazionale di sanatori provinciali.

Il Villaggio Sanatoriale, oggi Ospedale “E. Morelli” di Sondalo (So) fu l’episodio culminate di questa azione statale e fu il più grande istituto per la cura della tubercolosi costruito in Europa. A volere la sua costruzione in quella particolare zona montana, sulle pendici del Monte Sortenna, situata a metà strada tra Tirano e Bormio a circa 1.000 metri di altitudine, fu il medico pneumologo Eugenio Morelli, valtellinese di nascita, che nel 1928 fece eseguire un’analisi sulle condizioni meteorologiche dell’area dalla quale risultò che il paese di Sondalo era il luogo ideale per realizzare un sanatorio. La costruzione del complesso iniziò nel 1932 e procedette a ritmo elevatissimo, tanto che in soli 6 anni vennero eretti 9 padiglioni in grado di ospitare sino a 300 malati ciascuno. I lavori vennero ultimati solo alla fina della Seconda Guerra Mondiale, quando il complesso venne dotato di arredi ed attrezzature: durante il conflitto il sanatorio, ancora chiuso ai pazienti, si rese comunque partecipe delle vicende belliche ospitando, in gran segreto, diverse prestigiose opere d’arte provenienti da musei e collezioni private, tra cui alcune tele di Rubens, Tintoretto e Segantini.

La struttura del sanatorio venne realizzata come un vero e proprio “villaggio” (ancora oggi questo è il termine con cui i Valtellinesi chiamano l’Ospedale), autonomo e autosufficiente grazie alla presenza di un impianto di teleferiche, viadotti, una centrale termica e anche una chiesa. I padiglioni erano immersi in una vegetazione boschiva di conifere e larici, e i collegamenti tra un edificio e l’altro erano realizzati tramite dei sentieri ben curati, attrezzati con panchine per la sosta e parapetti. Il sanatorio rimase attivo fino al 1973 per poi essere trasformato nell’attuale presidio ospedaliero facente parte dell’AO Valtellina e Valchiavenna.

 

cristina culanti


Autore dal
27/10/2021