In ricordo di PADRE CAMILLO
In ricordo di PADRE CAMILLO

Anno dopo anno si sussegue il ricordo di Camillo De Piaz.

Rileggendo i suoi articoli pubblicati sul mensile L’AlterNativa Locale, mi tornano alla mente le sue telefonate, fatte di silenzi, di ascolto, di aiuto e, più che di consigli, di parole che emanavano una saggezza cauta, lucida. 

Ricordo la non-rassegnazione per la sua vista, che non gli permetteva più di leggere e di scrivere... e nell’ultimo periodo anche la sua voce si andava affievolendo...  

 

"Il pericolo non sta nella gravità della situazione politica: sta nella indifferenza con cui ciascuno di noi, e noi tutti insieme, ci rassegniamo alla eventualità della catastrofe". Era il 26 marzo 1946 quando Camillo de Piaz scriveva questa verità; era febbraio 2009 quando il mensile da me diretto gli dedicava il numero di febbraio, in onore dei suoi 91 anni. 

Un numero dove sono intervenuti con scritti toccanti i suoi amici Alda Merini, Piergiuseppe Magoni, Giorgio Luzzi, Aldo Bonomi, Valerio Righini...

 

Lui non era mancato con la sua rubrica, IL CROCEVIA, dettata ad Ivana, dove sempre con rara lucidità aveva analizzato la situazione politica italiana non senza riportarsi a fatti storici ancora attuali. 

 

Mi piace ricordare Camillo come un grande uomo, un uomo di fede, "è vita Camillo - avevo scritto nell’editoriale -. Come se ti desse la forza di continuare, come una serenità che si percepisce in modo... dolce, ecco. Lui, che dice e non giudica mai". 

Adesso, a due anni dalla scomparsa, mi viene da dire che quella serenità Camillo l’aveva conquistata non senza dolori, non senza sconfitte, sempre in difesa di alti ideali.

E’ prezioso ricordarlo attraverso le sue parole nel corso di una bella conversazione... 

 

MI SENTO PARTE DELLA STORIA, NON LA GIUDICO DA FUORI, PUNTANDO IL DITO. UNO DEI MIEI PENSIERI COSTANTI IN QUESTO PERIODO È QUELLO CHE STA SUCCEDENDO IN ITALIA, NELLA STESSA REAZIONE DELLA GENTE: LA GENTE DEVE SEMPRE PIGLIARSELA CON QUALCUNO, MA SI DOVREBBE PRENDERSELA CON SE STESSI! CI VORREBBE UN’AUTOCRITICA COLLETTIVA, ANCHE QUANDO SUCCEDE QUALCOSA DI EFFERATO... È DALLA NORMALITÀ CHE VIENE IL MALE, NON È DI ALTRI, È NOSTRO. NON GIUDICHEREI MAI L’ESSERE UMANO, NON POTREI FARLO. CHI DOVREI ACCUSARE PER L’ESSERE UMANO? DIO, MA IO NON ARRIVO FINO A TANTO [...]

 

... Ed è bello ricordarlo nelle parole dei suoi amici, tra cui Alda Merini: "Dica a Padre Camillo di chiamarmi", mi aveva detto Alda Merini raggiunta al telefono... 

 

ABBIAMO PIANTO TANTO PER LA NOSTRA MILANO

 

Sono passati molti anni dal mio incontro con Padre Camillo, posso dire poco di lui, solo che con Padre Turoldo hanno ricostruito Milano, erano due fratelli ideali, esenti dal peccato, se posso dirlo.

Il loro coraggio è stato sottovalutato, soprattutto dalla Chiesa. 

Padre Camillo mi ha sposato con mio marito, il panettiere, panettiere lo dico volentieri perché era un uomo semplice, che mi ha regalato quattro figli, la più grande gioia per una donna...

Non mi sono mai innamorata di Padre Camillo, tutte le donne si innamoravano di lui, era un uomo bellissimo, molto più di quei pezzi da copertina. 

So che Pdre Camillo ci vede poco, anch’io ci vedo poco... abbiamo pianto tanto per la nostra Milano...

Padre Camillo e Padre Davide sono due eroi del cristianesimo.

So che Camillo ha bisogno di soldi, come tutti gli anziani, le malattie costano ma io non posso aiutarlo, sono vecchia e malandata...

Ma questa esplosione di bellezza e di fede... Io, Camillo e Davide, tre poeti maledetti, ma benedetti da quel grande bacio spirituale che è la presenza divina. Fuori dalle righe, tutti e tre.

(Alda Merini, l’AlterNativa Locale, febbraio 2009)

 

 


Data: 30/01/2012
 
20/01/2018, 17:44
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"Il pericolo non sta nella gravità della situazione politica: sta nella indifferenza con cui ciascuno di noi, e noi tutti insieme, ci rassegniamo alla eventualità della catastrofe". Era il 26 marzo 1946 quando Padre Camillo de Piaz scriveva questa verità quanto mai attuale. Il 24 febbraio 2018 avrebbe compiuto 100 anni e un comitato sta già pensando a mettere in campo interessanti iniziative per ricordare un uomo di fede ma anche, e soprattutto un uomo con gli occhi spalancati sulla realtà, sempre in difesa di alti ideali, sempre dalla parte dei più deboli. “Mi sento parte della storia – aveva scritto negli ultimi anni della sua vita -  non la giudico da fuori, puntando il dito, uno dei miei pensieri costanti in questo periodo è quello che sta succedendo in Italia, nella stessa reazione della gente: la gente deve sempre pigliarsela con qualcuno, ma si dovrebbe prendersela con se stessi! Ci vorrebbe un’autocritica collettiva, anche quando succede qualcosa di efferato... è dalla normalità che viene il male, non è di altri, è nostro. Non giudicherei mai l’essere umano, non potrei farlo. chi dovrei accusare per l’essere umano? Dio, ma io non arrivo fino a tanto…”. Ora il comitato penserà ad iniziative capaci di far emergere la personalità di questo grande Uomo, “un uomo di frontiera, che sapeva che il conflitto si supera comprendendo le ragioni dell’altro, non sposandole o respingendole, che sapeva che la  fine di un conflitto armato può comportare la resa militare e anche quella politica, non quella morale”, come lo descrive il suo amico Cecco Bellosi, che aveva conosciuto Camillo in carcere. 

Nel Comitato, ancora in attesa di formalizzazione da parte del Comune di Tirano, che non ha ancora reso noti i finanziamenti a supporto degli eventi, spiccano i nomi di Laura Novati, Valerio Righini e Bruno Ciapponi Landi: quest’ultimo svela le carte: "Il giorno della ricorrenza della sua morte, il 30 gennaio, sveleremo il programma". Per ora, è certa una conferenza a cura della Novati e una mostra itinerante curata da Righini.

 

cristina culanti


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27/10/2021

01/02/2017, 09:41
Una riflessione di Regina Vio

“Rileggendo i tuoi articoli su Camillo e riflettendo accompagnata da un libro che sto leggendo di Z. Bauman ho concluso che mancano davvero dei riferimenti, delle persone che con il loro vissuto (vero, reale non virtuale) ci aiutino a comprendere questi anni difficili; credo ci siamo illusi che modernità sia sinonimo di felicità e progresso ma non abbiamo valutato che ogni medaglia ha il suo rovescio e quando si è messi alla prova spesso si esprime il lato peggiore. Solamente con l’aiuto di "teste illuminate e pensanti" si riesce a districarsi in questo pericoloso labirinto e oggi un po’ mancano e un po’ vengono inghiottite da voci più forti ma prive di contenuti”.

cristina culanti


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27/10/2021

31/01/2017, 16:56
Ciao Camillo

[...] "Ecco perché la mia storia finisce qui. Ma è una storia che contiene molte altre storie, che pure andrebbero raccontate. Nutrite di parole e di silenzi; di un silenzio amato tanto quanto la parola dell’amico o dell’amica, della pagina del libro, del colore di un quadro, delle genziane a giugno intorno a San Romerio". [...]

Giuseppe Gozzini 

cristina culanti


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27/10/2021

31/01/2016, 13:57
"Ci manchi"

"Ne avremmo ancora bisogno di teste pensanti come la sua, oggi più che mai; per aiutarci a riflettere sull’incontro di genti diverse, sullo scontro violento di chi proclama il nome di Dio.

Ci manca Camillo, ci mancano persone che tendendo la mano ci spieghino come conoscere e capire l’altro, attraverso la cultura, la lettura e la pazienza di ascoltarlo".

(Regina Vio) 

cristina culanti


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27/10/2021

30/01/2015, 10:22
L’avevamo scritto, a noi piace ricordarlo così

Anno dopo anno, con i ricordi di alcuni dei suoi amici più cari.

Oggi, venerdì 30 gennaio, alle 15 presso la sala del Credito Valtellinese è in programma una lezione aperta al pubblico a cura dell’UNITRE tenuta dall’amico Aldo Bonomi, sociologo sul tema “Padre Camillo de Piaz. Dopo cinque anni”.

Domenica primo febbraio alle 9.30, sarà invece celebrata una Messa di suffragio in santuario con la partecipazione di padre Antonio Santini, già superiore della Provincia veneta dei Servi di Maria e referente della locale comunità di Amici dei Servi.

(Per i cinque anni dalla scomparsa di Camillo De Piaz la Libreria Popolare di Via Tadino, che lo ebbe fra i suoi fondatori, ha pubblicato a Milano gli atti dell’incontro promosso poco dopo la sua morte dalla Casa della Cultura, di cui era stato consigliere).

 

cristina culanti


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27/10/2021

30/01/2014, 12:49
Ciao CAMILLO

Un altro anno è passato, e noi vogliamo ricordarlo ancora così, con il suo pensiero immutato negli anni, senza interpretazioni fuorvianti, bensì un invito alla riflessione sull’umanità e la Chiesa. 

Venerdì 31 gennaio 2014 alle 17.30, in basilica, sarà celebrata una messa con la partecipazione dell’amico padre Antonio Santini: alle 20.30 lectio divina nella sala Beato Mario. 

 

cristina culanti


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27/10/2021

31/01/2013, 15:06
Camillo...

Un altro anno è passato e mi piace ricordare questo grande maestro di vita attraverso le parole dei suoi amici, anche a distanza di anni ma ferme nel tempo.

Schietto, dolce, di rara intelligenza. Un uomo di fede ma anche un uomo di mondo, attento ai cambiamenti della società e ai cambiamenti... anche della Chiesa. Ci manchi Camillo, davvero tanto. Ma il ricordo di te, le tue parole, il tuo sguardo, il tuo sorriso, la tua attenzione nell’ascoltare, cosa rara in questi tempi... A me sembra di aver già detto tutto ma ancora tanto delle tue parole e del tuo pensiero mi gira nel cervello senza essere ancora stato razionalizzato. Non lo stesso nel mio cuore, dove rimane l’impronta indelebile di un Amico. 

cristina culanti


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27/10/2021

02/02/2012, 05:09
Ringraziamento

Con la presente desidero fare i miei complimenti al sig. Cecco Bellosi che ha saputo ricordare il vero Camillo descrivendone la sua vera personalità senza ipocrisia. Ringrazio anche il direttore di questo giornale on line che ha reso, nuovamente, pubblico questo articolo che, stranamente,  per errore, forse, NON E’ STATO inserito sul sito camillodepiaz

Caro Camillo, ora, che riposi nel mondo dei giusti,  veglia su di noi e perdona chi fra i Tuoi amici, spesso,  a causa della loro "ignoranza saccente",  ha travisato i valori che ci hai trasmesso .  

Sono davvero "Tempi duri, quelli in cui i grugniti vincono sulla filosofia" ...............................

Don Chisciotte


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27/10/2021

31/01/2012, 10:15
Farsi cullare da una mano antica...

Sono arrivata, come spesso succede nella vita, un po’ tardi per ricevere il suo bagaglio infinito di dolcezza e sapere ma è stato sufficiente per cogliere un’essenza preziosa, distillata in decenni di lotte e fermezza….

Cristina mi ha introdotto con semplicità e altruismo ed è stato come farsi cullare da una mano antica ma non domata dalle avversità; è partito tutto da una sua citazione su l’Alternativa di un poeta che ho sempre adorato: Giacomo Noventa, così lontano da queste valli ma così vicino allo spirito di Camillo… uno scambio di citazioni poetiche, un ricevere per dare… una partita doppia dello spirito.  

(Regina Vio) 

cristina culanti


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27/10/2021

30/01/2012, 13:19
Cecco Bellosi ricorda Camillo

Hai vissuto male la fede traverso la tua bellezza o forse trovasti la fede proprio perché eri bello. Che congiunzione strana, e poi l’amore dei librispecchio meraviglioso delle tue grandi distanze,fosti  povero o fosti profeta, non potrei dirlo, amasti molti poeti come tuoi unici figli di questa tua debolezza fosti incriminato. Che ossatura di riposo Camillo, i poeti, che asperità nomadi! Alda Merini

Padre Camillo, uomo della frontiera aperta 

Padre Camillo è stato un uomo di frontiera. Lo dicono ormai tutti, quelli che gli sono stati amici e quelli che lo sono stati meno, perché comunque è un riconoscimento che non costa molto. Descrivere Camillo come un uomo di frontiera significa sostenere, allo stesso tempo, una verità forte e una scontata banalità. 

Si può essere uomini di frontiera in molti modi: guardando la gente che passa, alzando muri, costruendo ponti. Siamo ormai invasi da persone che guardano gli altri senza vederli, o che ergono muri sempre più autistici tra sé e gli altri, fino a fare della separatezza, in altri luoghi chiamata anche apartheid, una virtù politica.

Portano dentro di loro un’idea di frontiera  sporca, brutta e a volte anche cattiva. 

Camillo era l’opposto.

Sapeva di questa ambiguità della frontiera. Oggi si celebra giustamente il valore concreto, ardito e simbolico del treno rosso che sale faticosamente dalla valle a Saint Moritz. Tra prati e nevi. Ma anche in questa piccola grande opera c’è una forte ambivalenza: la costruzione di relazioni tra popoli apparentemente diversi da una parte e, dall’altra, l’arrogante bellezza della tecnica che affronta, ferendola, la natura.  

Ma Camillo sapeva anche che, dietro questo ponte, abitavano secoli di conflitti religiosi, politici e sociali: il Sacro Macello era avvenuto da queste parti. E sapeva che il conflitto si supera comprendendo le ragioni dell’altro, non sposandole o respingendole. Mantenendo e contaminando la propria identità, che non a caso è costruita più sulla relazione che sulle tradizioni. Spesso, queste ultime, non sono che un’invenzione per giustificare la propria difesa chiusa in una rocca.

L’ho conosciuto alla metà degli anni Ottanta, in carcere. Eravamo un gruppo di detenuti politici, ormai consapevoli della sconfitta della lotta armata degli anni Settanta, ma anche refrattari a uscirne attraverso la collaborazione giudiziaria con lo Stato. La fine di un conflitto armato può comportare la resa militare e anche quella politica, non quella morale.

Camillo, che aveva fatto la Resistenza con spirito di appartenenza ma non settario, questa cosa le conosceva bene.   

Vennero a San Vittore, uomini e donne della Nuova Corsia dei Servi, per capire, non per giudicare. E questo rese proficuo, non più facile, il confronto. Camillo, Davide, Mario, Lucia e tutti gli altri che sono venuti a trovarci con loro per tre anni, decisamente produttivi, non erano indulgenti e tenevano, salde, le proprie ragioni. Ma volevano anche comprendere, senza dargli ragione, le motivazioni degli altri.

Questa è l’essenza dei veri uomini di frontiera: navigare in mare aperto, senza smarrire la propri identità.

È stato un periodo molto intenso, in cui il carcere si è aperto alla società e la società si è aperta al carcere. Capita spesso che le prigioni sentano il bisogno di aprirsi alla società: è l’unico modo che hanno per sentirsi vive; capita molto più raramente il contrario. Camillo e gli altri sono stati gli sherpa di una stagione irripetibile nella quantità, nella continuità e nella qualità della presenza della società civile in carcere. In particolare, in quella vecchia, fatiscente e per alcuni aspetti affascinante prigione del centro metropolitano, con i tram a sferragliare sotto le bocche di lupo.

Chiudere le carceri è un atto di coraggio; chiudere soltanto San Vittore sarebbe un delitto. Probabile che lo facciano, in un periodo di disorientamento tale da dimenticare il senso etico, ma soprattutto da non riconoscere più il senso estetico: si possono anche colorare le lande desolate di Opera e di Bollate, ma non si può cancellare la calda umanità di San Vittore, delle sue voci, dei suoi odori, dei suoi sguardi smarriti e familiari. 

Lì dentro, Camillo e gli altri, al di là dello spaesamento iniziale, si muovevano come pesci nell’acqua: ogni volta che entravano, facevano fatica a uscire. Sono stati gli anni in cui il lavoro è diventato un’opportunità concreta per molti detenuti: dalle cooperative interne alle assunzioni esterne. Sono stati gli anni di un’intensa attività culturale: i seminari con Nuova Corsia sugli anni Settanta erano partecipati, dibattuti, intensi. Sono stati gli anni in cui il carcere, dopo un periodo di chiusura all’ennesima mandata, ha cominciato ad aprirsi. Una irripetibile Commissione Giustizia del Senato venne più volte a discutere con noi dei contenuti di una legge che si sarebbe chiamata Gozzini, dal cognome del senatore Mario Gozzini, che ne era il presidente. Si parlava di semilibertà, di permessi, di affidamento: in una parola, di volgere all’esterno la parte rieducativa della pena. Lo prevedeva la Costituzione, ma non era mai avvenuto prima, né sarebbe più accaduto dopo. La prima Repubblica era capace di forti tensioni, anche repressive, ma pure di grandi slanci ideali: la seconda conosce prevalentemente il colore verdastro della melma che ammuffisce su gradini d’acqua apparentemente dolce,  in realtà pesante.

Il mio rapporto con Camillo è iniziato allora, fatto più di sguardi di intesa che di parole. Nel nostro rapporto personale, mai finito, abbiamo sempre parlato poco, ma ci siamo sempre detti molto.

In carcere e dopo, negli incontri presso la libreria di via Tadino a Milano, dove è continuato l’impegno per e con i detenuti, politici e comuni, che erano ancora dentro.

Ci siamo ritrovati a Tirano, quando l’Ordine dei Servi di Maria ha deciso di dare in comodato la Casa del Fanciullo all’Associazione Comunità Il Gabbiano. Ancora una volta, andando controcorrente, Camillo voleva che quel posto, come il carcere, potesse diventare un luogo in cui le persone lacerate dentro da  storie personali tristi e corrose da una lunga frequentazione con le sostanze potessero ritrovarsi.

All’interno della convinzione che la libertà, e non la repressione, è terapeutica.

Una sfida difficile, perché educare alla libertà significa anche lavorare alla responsabilità nei confronti di se stessi e degli altri: un obiettivo faticoso, per chi conosceva e conosce dei percorsi esistenziali segnati da una macerazione autistica. 

Camillo ha condiviso con noi questa scelta, frequentandoci tutti i giorni e comprendendo, a differenza di altri, che lavorare sulla responsabilizzazione attraverso la libertà è un impegno in grado di portare le persone, anche se non tutte, a rimettere insieme i propri pezzi. Nonostante spesso possa apparire una fatica di Sisifo. Per questo Camillo è sempre stato con noi, fino in fondo, con il suo sorriso  apparentemente burbero.

Una volta gli chiesi se la sua convinta difesa del nostro lavoro fosse dettata dall’amicizia o da convinzione. Mi rispose con: «La seconda che hai detto». Motivandola con due ragioni. La prima era che la Valtellina è una terra in cui l’intolleranza nella Storia non è nuova, a partire proprio dai conflitti di carattere religioso, per cui gli faceva male vederla ancora in campo nei nostri confronti, come fosse una coazione a ripetere. La seconda era una delle sue annotazioni fulminanti: questa piazza è dedicata alla Madonna della Salute, e chi sono i nuovi malati se non le persone che voi ospitate?

Ecco, se c’era una cosa che Camillo non amava era l’ignoranza. Una volta mi ha ripreso perché, in un discorso sulla storia della Chiesa, ho usato il termine congregazione religiosa invece di ordine religioso, come fossero la stessa cosa. Mi ha fatto una vera e propria filippica, salvo, il giorno dopo, regalarmi un suo scritto sugli ordini religiosi. Camillo era così. Con i suoi vezzi da vero intellettuale. E, da vero intellettuale, non sopportava l’ignoranza saccente che oggi permea di sé la società. Tempi duri, quelli in cui i grugniti vincono sulla filosofia.

Cecco Bellosi

(l’AlterNativa Locale, ultimo numero, marzo 2010)

cristina culanti


Autore dal
27/10/2021