Parco delle Incisioni rupestri di Grosio
Di Bruno Ciapponi Landi, direttore Il fallimento della politica è quanto di peggio possa capitare, specie in una valle con una consolidata tradizione di buona amministrazione locale e che vanta fra i suoi maestri Ezio Vanoni. L’incapacità che la politica ha dimostrato non sapendo affrontare e risolvere un problema di facile soluzione che avrebbe evitato la chiusura del Parco delle incisioni rupestri di Grosio, è un indice gravissimo. Tanto più grave se analizzando la situazione e valutando ad uno ad uno gli amministratori interessati ci si vedrebbe costretti a riconoscere a ciascuno affidabilità, capacità e sensibilità politica. Se si trattasse di un gruppo di idioti la cosa diverrebbe più comprensibile, ma non è così, sono persone che hanno dato prova di sapere amministrare e di meritare la fiducia riposta in loro dagli elettori. Ciò nonostante si è arrivati, per inerzia amministrativa, a costringere il giovane, capace e volonteroso Alessandro Deriu, presidente del Consorzio, abbandonato al suo ruolo senza finanziamenti (persino del denaro per pagare la bolletta del telefono e l’assicurazione) a chiudere il parco al pubblico. Ma a cosa si deve un simile triste risultato, certamente non voluto nemmeno da chi lo ha prodotto? È possibile che bravi amministratori non siano stati in grado di evitare un così disastroso effetto? Per quanto incredibile, con le loro omissioni, si sono dimostrati incuranti degli impegni assunti nei confronti dello Stato, che ha affidato al Parco l’Antiquarium; incuranti della dimostrazione di incapacità che hanno dato alla collettività (che grida vendetta pensando ai sacrifici di Davide Pace e di suo figlio Francesco, per anni pellegrini sulle rupi a documentare l’antichità grosina); incuranti della generosità della marchesa Margherita, che donò i castelli e le rupi incise; di AEM che sostenne sempre il Consorzio; di chi, come i soprintendenti Mario Mirabelli Roberti e Raffaella Poggiani Keller, non si limitarono ai loro doveri nel sostenere il parco e il suo sviluppo; incuranti ancora dell’eredità di tanti validi amministratori che si sono susseguiti ed hanno costruito pezzo per pezzo una istituzione culturale unica in provincia. Agli esiti ai quali si è giunti non si sarebbe mai dovuti arrivare, tanto più che sarebbe bastato prendere sul serio la questione, dimostrando di essere consapevoli del valore sociale (e anche economico) del parco e di quanto esso tutela e valorizza. Non basta indicare possibili soluzioni senza intervenire (potendolo) ad evitare il fallimento. Quella che si è scritta con questa vicenda è una brutta pagina per la storia dell’amministrazione pubblica locale e, ovviamente per quella della cultura. Una vicenda ingiustificabile, quali siano le ragioni che si vorranno addurre, che allarga, non poco il solco che già divide la cultura dalla politica (e Dio sa quanto di una politica degna di questo nome avremmo invece bisogno, e di quanta cultura avrebbe bisogno la politica, anche per essere sottratta al disprezzo di cui, a ragione o a torto, è fatta costantemente segno).
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