Risparmio, termine soffocato dal consumismo
Chi sente ancora parlare di risparmio? Voce ormai soffocata entro due termini emergenti: consumismo e nuova povertà. Consumismo: "Bisogna stare ai tempi", incalza il consumismo e così si vuole tutto e più del necessario, tanto che si spende più di quello che si guadagna. Il risparmio? La rinuncia? Cose d’altri tempi, ma poi chi ne parla? E ai giorni nostri poi? Nemmeno quando necessariamente emerge l’altro termine: “nuova povertà”, che poi quel "nuova" a nostro parere, sta per il di più che si pretende e che si spreca. Il risparmio voce d’altri tempi, anche se in quei tempi, riferiti all’era contadina, il risparmio si praticava, ma senza alcun merito, perché in sé non c’erano i presupposti per farlo; era tutto sempre meno del necessario. Di denaro non ne girava mai e sulla tavola arrivava sempre meno di quanto si avrebbe voluto per soddisfare le esigenze vitali. Di soldi non se ne vedevamo mai. Nemmeno per fare la spesa in quanto era quel vecchio libretto che andava avanti. La paga che portava in casa il genitore, alla fine del mese, la maggior parte finiva dal bottegaio che eliminava tante pagine quanto era la somma disponibile e alle mamme rimaneva quel minimo indispensabile per tirare avanti, per la scuola, una penna, un quaderno, una matita, doveva durare tutto l’anno e si disturbava persino il “Gesù Bambino”, a Natale che portasse una scatola di 6 colori. Di più non veniva nemmeno dal cielo. Quindi niente vanto, ma la lezione del risparmio l’abbiamo imparata strada facendo. Infatti, modestia a parte, a quei bambini della generazione prima e durante la guerra, va dato atto che il risparmio lo hanno esercitato non appena sono stati in grado di guadagnare. Infatti, avviati al lavoro già dopo le elementari, il pur piccolo guadagno lo versavano automaticamente in famiglia. Sempre spinti dalla necessità di questa, (tenuto conto che non c’erano le pensioni). E ancora, cresciuti e in grado di andare all’estero, sono stati ancora loro, con il "risparmio" a mandare a casa i soldi per rinnovare le case, per dotarle dei servizi indispensabili (che prima non c’erano) e anche per costruirne a nuovo. E quando, anche con il tempo la famiglia si è sciolta, sono stati ancora in grado non solo di bastare a se stessi, ma sempre mettendo in pratica il risparmio, di costruirsi una casa o comunque un alloggio proprio o per la loro famigliola e ancora di costituirsi un "conto risparmio" per i tempi difficili. Quello che non è riuscita a fare la generazione che ha fatto seguito. In parole povere, questi della nuova generazione, non sono riusciti a fare tanto: perché hanno fatto e fanno il passo più lungo della gamba. Il "risparmio?" se uno osa nominarlo ti ridono dietro: Ma goditi la vita! Pensare per il domani? Magari non c’è neanche, e poi bisogna pure prendersi le soddisfazioni. Non ce la fai? Ci sono le offerte dei prestiti e gli aiuti umanitari”. E allora? Se va male? Se arrivano i tempi delle proverbiali "vacche magre" si parla di "nuova povertà", ma guai a nominare il termine "risparmio". Che pena fa, nonostante queste a volte anche giustificate lamentele, vedere fuori delle case ammassati rottami di costosi gioccatoli, di macchine, trattori, tricicli e ogni genere di arnesi che i bambini devono necessariamente rifiutare, perché le esigenze corrono con gli anni e devono averne altri, per non parlare del "di più" che va a aumentare i rifiuti e di questo siamo un po’ tutti responsabili. La nuova povertà, ha anche altri motivi per esserci, vedi la perdita del lavoro, le malattie, ecc….ma non è una ragione per eliminare la pratica del "risparmio". Lasciamogli il suo posto previdenziale sull’incerto e imprevedibile cammino della vita.
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